C’è stato un momento in cui le aspettative di Milano rispetto al suo futuro sono crollate, e la città ha smesso di amarsi e di aspettare da se stessa qualcosa di grande. Così oggi Milano può solo trovarsi faccia a faccia con il suo sogno perduto: quello – databile tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta – in cui, già ricca di denaro e di energia lavorativa, pensò di diventare anche potente, forse addirittura la capitale del Sud Europa. Poi ci furono il Sessantotto, autoritratto completo di una città insieme cristiana e pagana; e gli anni Ottanta, quando esplose la cura del particolare senza più ritegno e Milano si reinventò modaiola e tangentista. In questo scorcio di millennio, la metropoli lombarda sembra ormai fatta apposta per una tipologia urbana piuttosto ristretta: trentenni single e impiegati, gente che esce la sera ma prima di passare a casa si ferma per l’happy hour, una tipologia umana che però non può permettersi di fare la storia della città.
Affondando le radici nel passato e nell’anima milanesi, passeggiando nelle strade e nei viali, dal Duomo alle periferie, accarezzando i suoi paesaggi, incontrando i suoi abitanti, vivendo la sua disperazione e il suo splendore, la sua grandezza e il suo male di vivere, il suo scetticismo e la sua fede, Luca Doninelli traccia una diagnosi spietata. La più spietata, perché dettata dall’amore. E perché solo se si comincia, con la massima precisione, a descrivere la malattia – che è insieme antropologica e politica, economica e ideale – è forse possibile trovare una cura.