Sarebbe facile immaginare una messa in scena di Spettri con i protagonisti in chitone, maschera e calzari. Come nei grandi miti della tragedia greca, qui si mescolano incesto, follia, verità terribili dopo anni di menzogna. L’ambientazione però è quella di un’allucinata campagna norvegese, resa grigia e stagnante, come l’animo dei personaggi, da una pioggia battente. Un luogo in cui il sole e il calore arrivano inutilmente e sempre troppo tardi.
Quello di Ibsen è un realismo che svela l’ipocrisia della morale borghese, fondata sul perbenismo e sulla religiosità di facciata. E questa storia è una denuncia coraggiosa che, come raccontano Roberto Alonge e Franco Perrelli nell’introduzione, fece bandire la pièce per molti anni dai palcoscenici norvegesi.
Introduzione di Franco Perrelli
«I vigliacchi, gli ossessi, gli spiriti deboli e limitati, tutti questi mediocri sono i veri nemici di Ibsen».
Antonio Gramsci
«Grazie, bambina mia. Domani s’inaugura il convitto, e qui c’è da aspettarsi una bella sbornia generale, capisci. E nessuno dovrà dire di Jakob Engstrand, che non sa dominarsi, quando la tentazione si presenta».
Henrik Ibsen